IL TRAILER DEL ROMANZO

Estate del 1992 incidente sull’A1 tra Fabro e Orvieto. La macchina di due giovani di ritorno dal viaggio di nozze, Anna e Paolo, viene spinta da un autotreno in una piccola scarpata. Le vittime verranno scoperte qualche giorno dopo. Omicidio o incidente? La storia viene scovata per caso da un cronista di provincia, Matteo Sabelli, vent’anni dopo quando un camionista denuncia di essere stato graffiato e malmenato in una tetra area di servizio dell’A1 proprio di fronte al luogo dell’incidente. Il camionista è stato vittima di una donna che, secondo la leggenda che corre sui baracchini dei TIR, sarebbe il fantasma di quella sposina morta vent’anni prima.

Matteo, il giornalista, stava lavorando ad una inchiesta sullo sversamento delle ceneri di carbone che, per tutti gli anni ’80, sono arrivati dalla centrale Enel di La Spezia in Umbria. Ma per il giornale in cui lavora c’è poco spazio per le inchieste ma proprio la storia del fantasma, che piace all’editore e che fa vendere copie, si dimostrerà legata a quella vicenda.

La verità che emerge racconterà la storia di due famiglie distrutte, due famiglie in cui l’interesse economico, per alcuni, ha prevalso sugli affetti e ha prodotto una serie incessanti di ricatti. E con quelle famiglie Matteo entrerà in contatto, incontrando una misteriosa donna rinchiusa col figlio in un esilio forzato da un marito assente.

Sullo sfondo il melodramma non solo italiano che fa da contrappunto a ciascun capitolo diventando colonna sonora del romanzo.

IL PROLOGO

La polo aveva superato  da poco il confine. Dalla Toscana si era entrati in Umbria. Direzione sud sull’autostrada del sole. Le colline più morbide del senese e dell’aretino lasciavano il posto a quelle un po’ più mosse dell’Umbria. La Valdichiana si trasformava nei suoi lineamenti d’orizzonte sotto un cielo stellato che si espandeva a dismisura nel profondo della notte. Il paesaggio era illuminato da una grande luna crescente che aumentava il contrasto.

“Amore mio, manca poco ormai per arrivare a casa. Sei stanco? Vuoi che guidi io?”

La ragazza spostava il suo sguardo dall’angolo del paesaggio che stava guardando attraverso il finestrino verso il giovane. Sull’antenna dell’auto svettava ancora il nastro di tulle, segno distintivo dei freschi sposi. Il viaggio di nozze si stava per concludere.

“No amore, non sono per niente stanco”.

La guardò. “Siamo stati bene questi giorni. Ora torniamo a casa e ci sono da costruire i nostri sogni. Vivere la nostra casa, pensare ai giorni che verranno. Magari presto metteremo anche al mondo una creatura – disse sorridendo.

“Faremmo felici tuo padre e i miei. Mia madre poi… Proprio non le andava più giù che io e te stessimo insieme senza il sacro vincolo del matrimonio  – gli rispose. – “La sera prima del matrimonio ha avuto anche il coraggio di dirmi che finalmente tu, dopo anni, avevi deciso di fare di me una donna onesta!”

“Cosa che a questo punto ho fatto”. – Disse lui guardandola con tenerezza – Tua madre sarà contenta. Continueremo a vivere insieme però da moglie e marito, per la gioia dei conformisti”.

“Ammettilo. Il matrimonio ha comunque anche degli aspetti positivi. Quando mai avremmo potuto fare questo viaggio che sognavamo da tempo.”

Anna e Paolo erano sbarcati qualche ora prima a Malpensa. Tornavano dagli Stati Uniti. Si erano fatti quel coast to coast in moto, sulla Route 66 da Chicago a Santa Monica. Lo avevano sognato fin da quando, poco più che bambini, si erano conosciuti e forse riconosciuti sui banchi di scuola. Poi l’amicizia era diventata amore e l’amore vita di coppia. Fino a quel 3 giugno del 1992. Dopo tre anni di convivenza, erano entrati nella piccola chiesa de Le Querce a Viterbo per sposarsi.

Lui ingegnere al Poggino, l’area industriale di Viterbo. Lei maestra elementare a Vitorchiano. Due ventottenni che avevano deciso di costruire insieme una famiglia.

La macchina dopo una breve sosta in autogrill per un caffè, superò l’uscita di Fabro.

“Ho chiamato casa, ha risposto mia sorella. Le ho detto che siamo già a Fabro e che tra un’ora saremo a casa. Ci stanno aspettando. Lei non vede l’ora di sentire i racconti del nostro viaggio”.

“Usciamo a Orvieto e poi facciamo la strada interna – le disse Paolo  -, voglio uscire dall’Autostrada”.

Fabro era ormai alle loro spalle. La strada, dopo il curvone, cominciava a scendere. Mancava poco ad Orvieto, poco più di una ventina di chilometri. Improvvisamente un rumore strano.  Il volante diventò rigido e tremolante.

“Cazzo…. abbiamo bucato”. Paolo mise la freccia a destra e passò sulla corsia di emergenza. Si fermò  e scese dall’auto.

“Ci metto poco. Tu stai in macchina. E’ buio. Qui non filtra nemmeno la luce della luna. Ma fari e quattro frecce sono accese”. Erano in un canalone che scendeva dalla zona collinare di Fabro e che di lì a poco li avrebbe portati sulla spianata verso Orvieto.

Anna aveva il finestrino abbassato e ascoltava la radio a basso volume. Le faceva piacere ascoltare il marito che trafficava alla sua sinistra alle prese con la ruota posteriore forata. Sentiva il rumore del crick che veniva infilato sotto l’auto, la manovella che girava. Anna cercò una stazione radio che si potesse sentire meglio, Radio Subasio, che li aveva accompagnati spesso fin da giovanissimi. Stava cercando la frequenza, poi alzò gli occhi che incrociarono il marito nello specchietto retrovisore. Sullo sfondo della strada, dietro di lui, si avvicinavano due luci. Era un camion. Uno dei tanti che percorre l’autostrada da nord a sud. Luci che si avvicinavano, a velocità moderata. Lo specchietto retrovisore, così per come era costruito, modificava le distanze. Ma quelle luci sembravano troppo vicine alla corsia di emergenza. E si avvicinavano sempre più al lato destro della carreggiata.

“Paolo – chiamò Anna – quel camion mi sembra molto vicino alla corsia di emergenza. Stai attento”. Paolo girò la testa alla sua destra. Il camion era a poco più di trecento metri.

“Lo vedo – disse lui mentre lasciava la presa del crick, alzandosi dalla posizione accovacciata. Poi andò verso lo sportello, lo aprì e salì in macchina”.

“Che fai? – gli disse Anna?”

“Evito che tu possa diventare vedova in tempi troppo brevi. Appena passa scendo di nuovo”.

E poi un botto, sul retro, a sinistra. Un botto sordo, violento ma non determinato da un impatto a velocità elevata. Dopo una breve pausa, nella quale Paolo era pronto a scendere dal veicolo per comprendere che cosa fosse accaduto, sentirono una forte accelerazione del motore del camion che li aveva speronati. Era appoggiato sul loro paraurti e spinse la macchina verso il debole parapetto. Il camion accelerava, continuò a spingere. Lo stridere di lamiere faceva da controcanto al rumore del parapetto in legno che stava cedendo, alle grida di Anna e all’incredulità delle parole di Paolo. “Ma che cazzo sta facendo?”

La spinta fu sempre più forte. La macchina premette contro il parapetto, lo sfondò, precipitò nel fosso sottostante, tra un frusciare di rami spezzati e il rombo del motore del camion. Poi, dopo il tonfo, fu il silenzio.

Il camion fece retromarcia e si assestò meglio sulla corsia d’emergenza. L’autista accese le quattro frecce e piazzò il mezzo in modo tale da nascondere quella parte di guardrail divelto. Poi scese. Si guardò intorno. Nessuno aveva visto nulla. Guardò di sotto e non sentì alcuna voce. La macchina era precipitata per una decina di metri, non si vedeva, nascosta dalla fitta vegetazione cresciuta in modo selvaggio.   Avvolse una corda intorno al parapetto che si era scostato dalla sede stradale e, con forza, lo rimise in asse con la parte che era ancora ben fissata al manto stradale. Lo sistemò alla meno peggio, così che ad uno sguardo superficiale di chi fosse passato, tutto potesse sembrare regolare. Spinse nel fosso anche quei pezzi di fascione dell’auto staccatesi nell’impatto insieme al crick e alla ruota forata che Paolo aveva poco prima smontato.  Salì a bordo del camion, accese il motore, con calma sfilò una sigaretta dal pacchetto poggiato sul cruscotto, ingranò la prima, tolse le quattro frecce e ripartì. Non prima di avere acceso la radio.

“Cari amici, sono le 23,56 minuti a Radio Subasio. Il tempo di ascoltare Why di Annie Lennox e arriveremo all’8 agosto. E il caldo è con noi, più afoso che mai”.